Parole come armi – 02: Safe Haven, ovvero Porto Sicuro e i possibili interventi
Ieri sera, in televisione, hanno trasmesso il film “Vicino a te non ho paura” (il titolo originale è “Safe Haven”), tratto da un libro di Nicholas Sparks.
Tralasciando il fatto che (e chi conosce i libri di Nicholas Sparks lo sa) lo scrittore si occupi soprattutto di storie romantiche spesso inverosimili, questo racconto, a differenza di altri, mi ha colpita molto.
Se eliminiamo il contorno della cittadina perfetta e della storia d’amore “quasi” perfetta, rimaniamo con una descrizione piuttosto azzeccata delle dinamiche di violenza domestica che molte donne subiscono quotidianamente.
Per chi ha vissuto una relazione violenta è difficile non identificarsi nelle parole di Katie (oppure, come si chiamava in precedenza, Erin) quando, ormai coinvolta in una nuova storia “sana” e rispettosa cerca di spiegare al nuovo compagno cosa voglia dire vivere un rapporto con un partner violento, di come ci si senta a “subire”:
“…E sprofondi nell’oscurità, come se ti avessero succhiato via la vita. Pensi di non valere niente, nulla ha più senso e io l’ho giustificato per tanto tempo perchè non era colpa sua, era colpa mia. Ero completamente sola.”
Sono dell’idea che chiunque abbia vissuto (o si trovi a vivere) contesti di violenza (di qualsiasi tipo, non solo fisica, ma anche psicologica, economica, etc…) avrà usato, almeno una volta, frasi simili: tante donne si saranno sentite sprofondare e senza energie vitali, proprio come se un vampiro avesse succhiato loro tutto il sangue e le forze; tante donne avranno pensato di non valere niente, un po’ perchè, probabilmente, è stato detto loro anche dal maltrattante, un po’ perchè, in quelle situazioni, si arriva a convincersi di non meritare di meglio.
La difficoltà che si ha ad uscire da queste relazioni malate è il continuo giustificare le violenze e il perchè, come viene ripetuto spesso dagli stessi maltrattanti (anche quello del film), la colpa è sempre della donna che “lo porta” e “lo costringe” a certi comportamenti: lui non è mai responsabile dei suoi gesti e delle sue azioni.
Anche gli stessi giornalisti, quando parlano di femminicidi o di azioni terribili nei confronti di donne, tendono spesso a giustificare l’assassino o l’aggressore: “Lei lo aveva lasciato e lui era pazzo di gelosia”; “Lui aveva perso il lavoro ed era depresso”; “Lei lo aveva tradito”: la colpevole, colei la cui vita viene analizzata al microscopio, è la donna che ha subìto, magari per anni, vessazioni continue, botte, privazioni e offese, non colui che l’ha uccisa, vessata, umiliata, picchiata e offesa.
Vorrei ricordare alle donne che stanno vivendo o hanno vissuto situazioni di violenza che non sono sole e, soprattutto, che non sono deboli: ci sono dei numeri di telefono appositi dove operatrici qualificate saranno pronte ad aiutarle ad avvicinarsi alle strutture che possano accoglierle ed aiutarle a cambiare la loro vita (ad esempio il numero 1522).
Da poco è nata una piattaforma web, dal nome Chayn Italia (http://chaynitalia.org/), che permette alle donne che ne hanno bisogno di accedere a tutte le informazioni per poter avere supporto.
Questa piattaforma propone a chiunque viva una situazione di violenza (o chiunque voglia aiutare qualcuno che ci si trova) e possiede un collegamento internet, di poter avere informazioni chiare ed esaustive, consigli pratici e indirizzi a cui rivolgersi.
Molto intelligente ed utile il link “Lascia questo sito” che permette alle donne con un partner violento in casa, se mai dovesse entrare nel momento in cui lei sta visitando Chayn Italia, di poter abbandonare immediatamente il sito senza che lui possa avere un riscontro immediato di ciò che la compagna stava leggendo.
Mi auguro che iniziative come questa riescano appieno nel loro intento, aiutando anche ad ampliare la rete di aiuti e supporti di chi subisce violenza e che aiuti anche a diffondere informazioni in modo capillare, in quanto, più il “fenomeno” è conosciuto in maniera corretta, più si può combattere con forza e, spero, sconfiggere.