Gaslight (Angoscia)
Ultimamente non passa giorno senza che venga raccontato dal telegiornale un nuovo caso di femminicidio, di violenza nei confronti delle donne o di stalking, soprattutto dopo il nuovo ddl sul femminicidio.
Spesso, in chi ascolta e non conosce bene le dinamiche di questi episodi, sorgono delle domande sulle motivazioni che spingono una donna a non abbandonare subito una situazione pericolosa per mettersi in salvo e preservarsi.
Da tempo pensavo di scrivere qualcosa per parlare della manipolazione emotiva, ma è stato dopo aver letto questo bellissimo articolo di Giovanna Pezzuoli che mi sono decisa.
Vorrei, quindi, affrontare il tema dell’ “effetto gaslight”, una particolare situazione di manipolazione mentale che viene esercitata frequentemente in casi di violenza (psicologica e/o fisica) e che porta, chi ne è vittima, alla dipendenza dal proprio aguzzino e all’incapacità di considerare se stessa capace di vivere senza di lui, quindi di interrompere la relazione ed allontanarsene.
Il gaslithing prende questo nome dal titolo del film del 1944 “Gaslight” (in italiano tradotto come “Angoscia”), dove il marito Gregory tenta di fare impazzire la moglie Paula spostando di nascosto gli oggetti della loro casa e accusando lei di averlo fatto; manomette il gas delle luci per far sì che lei le veda affievolirsi senza motivo e negando poi l’avvenimento. Piano piano anche la donna si convince di essere pazza e comincia a dubitare di se stessa e delle proprie capacità di discernimento: desidera sempre di più l’approvazione di suo marito (che continua a ripeterle che è instabile) e ad anelarne l’amore. Paula recupererà la sicurezza di sé solo quando altre persone le confermeranno che la sua sensazione che le luci si affievoliscano sia reale.
Questo film è un esempio perfetto di manipolazione emotiva esercitata da un abusante che rende una vittima vulnerabile e completamente dipendente da lui psicologicamente.
Come scrive la psicoterapeuta Robin Stern, è un fenomeno che si sviluppa prevalentemente all’interno di coppie dove l’uomo è incapace di accettare appieno i cambiamenti sociali e l’emancipazione del ruolo della donna: è attratto da personalità forti, intelligenti, ma al contempo cerca di controllarle, “riprogrammando” la partner per renderla succube sia psicologicamente che fisicamente.
Il gaslighter, quindi, è lucido e conscio dei danni che sta provocando alla sua compagna e attraverso la persuasione, l’inganno e la finzione mina l’integrità psichica dell’altro individuo, togliendogli le forze per poter affrontare la propria vita autonomamente, di scegliere in piena libertà, di aspirare ad essere felice. E’ una violenza gratuita e persistente, uno stillicidio perpetrato nel tempo che ha la capacità di arrivare ad annullare l’altro: è come un “lavaggio del cervello” che porta chi ne è vittima a pensare di “meritare” di essere trattata in quel modo. L’intento è proprio quello di far dubitare la compagna della sua stessa memoria, delle sue stesse sensazioni/percezioni della realtà e la demolizione della sua autostima.
Il manipolatore, dunque, distorce gli eventi a “suo favore”: offende la sua compagna per minarne la stabilità emotiva (ovviamente dovrà farle capire che è lei ad aver frainteso e che la sua versione dei fatti è l’unica veritiera perchè lei, in quanto instabile, ne ha una visione sfalsata), la fa sentire “sbagliata” e le distorsioni/derisioni passeranno dalla sola coppia all’essere espresse anche davanti ad altre persone per avvalorare l’incapacità della donna di essere una buona partner.
Si instaurerà una dinamica narcisistico-perversa che porterà chi ne è vittima ad abbassare completamente le proprie difese e ad avere bisogno dell’approvazione del compagno: come sotto l’effetto di una vera e propria dipendenza (si tratta in questo caso di “dipendenza emotiva”) la vittima, per stare meglio, sentirà la necessità di essere compresa e rassicurata dal partner, di sentirsi dire che è amata, che è una “bella persona”, che ciò di negativo che le è stato detto fino a quel momento non è ciò che l’altro pensa.
Il gioco perverso di un manipolatore è anche quello del saper “togliere” con freddezza (e al momento giusto) l’amore, il rispetto, la reciprocità e addirittura la parola, creando una vera e propria “astinenza” nell’altro.
Ovviamente una donna non cade immediatamente nella “trappola emotiva” di un gaslighter, ma viene coinvolta in una danza (un tango, come lo chiama Robin Stern) che è caratterizzata da varie fasi:
- la distorsione della comunicazione e l’incredulità: il manipolatore alternerà momenti di gentilezza estrema, parole dolci nei confronti della compagna, a frasi estremamente crudeli sempre indirizzate a lei, tanto da creare in quest’ultima una confusione su quello che sia il messaggio che lui sta cercando di inviarle;
- la difesa: la vittima è ancora consapevole di se stessa e di ciò che vale, ma la sua considerazione di sé e delle sue percezioni sta cominciando a vacillare sotto i continui comportamenti altalenanti e le continue vessazioni del suo manipolatore; ha ancora la forza di difendersi, di cercare di spiegare al compagno la sua versione dei fatti, di instaurare con lui un dialogo e lotta strenuamente per essere accettata e capita, pensando, attraverso la sua capacità di confronto e di ascolto, di poter far cambiare idea al persecutore;
- la depressione: la donna ha perso, gradualmente, la forza di reagire ai rimbrotti del gaslighter e, semplicemente, si “arrende” (sfinita); si convince di “meritare” un trattamento di quel tipo e giustifica il comportamento dell’altro trovando in se stessa le motivazioni del perchè il partner la sta trattando in quel modo.
Spesso, agli occhi degli altri che non lo conoscono bene, il manipolatore è un uomo “impeccabile”, in quanto abile camaleonte capace di camuffare la propria personalità violenta ed intimidatoria dietro a maschere da “bravo ragazzo” o di “abile seduttore”. E’ solo quando si avvicina veramente a qualcuno che si “svela”.
Per quel motivo (e a causa del fatto che non è facile difendere e riconoscere una vittima di gaslighting), spesso le donne si trovano isolate quando cercano aiuto all’esterno della coppia. Gli amici risponderanno minimizzando, confondendo la manipolazione messa in atto da lui con una semplice discussione o un semplice litigio anche perchè, da fuori, non avranno mai avuto modo di conoscere lui sotto quell’aspetto. Se ci si pensa è come quando, durante le interviste dopo un caso di femminicidio, si sente dire da parenti e vicini della coppia che “lui (l’omicida) era tanto una bravo ragazzo”.
La violenza psicologica non è meno cruenta di quella fisica: non lascia segni visibili, ma porta ad una “morte morale” di chi ne è vittima, fino a casi limite di induzione al suicidio.
Per questo motivo è bene non sottovalutarla e che, se vi sentite possibili vittime di una situazione dove il vostro partner continua a umiliarvi o vessarvi, a mancarvi di rispetto con insulti, offese, parolacce, vi rivolgiate al numero antiviolenza 1522, oppure al centro antiviolenza più vicino a voi.
Lì troverete numerose esperte capaci di ascoltarvi e consigliarvi davvero su quella che è la vostra situazione e nessuno vi darà della “pazza” o metterà in dubbio le vostre percezioni.
Ricordate che meritate rispetto per ciò che siete e amore, in qualsiasi relazione (anche nella più difficile).
Io sono stata una vittima di manipolazione emotiva e sono riuscita ad uscirne solo grazie all’aiuto di uno psicologo.
La violenza psicologica non è proprio da sottovalutare. Ti distrugge e ti fa pensare di non valere niente.
Spesso gli altri, se non l’hanno provata, non la capiscono e ti prendono per vittimista, per esagerata, invece no! Bisogna veramente imparare a fidarsi delle proprie sensazioni e dargli retta!
Concettualmente ineccepibile.
Molti di “noi maschietti” dovremmo riflettere meglio su quanto siamo perfidi nel nostro agire quotidiano.
Grazie per l’analisi e insisti nel farci ragionare.